Stefano fake, videoartista fondatore di THE FAKE FACTORY, parla del progetto di videoarte immersiva CARAVAGGIO EXPERIENCE.
Ci parli di questa forma di videoarte che definisci immersiva?
Ne parlo con cognizione di causa: immagina che la nostra prima videoinstallazione immersiva come THE FAKE FACTORY l’abbiamo realizzata alla Limonaia di Villa Strozzi a Firenze nel 2002 (A.N.S: ambienti di nuova sensibilità, Firenze 2002). E anche la mia prima opera del 2001 “Room with Color Tv” era già di per sè un’installazione video immersiva, seppur su scala minore (“Room with color TV”, Weimar 2001). Questo approdo in una istituzione prestigiosa e iconica come il Palazzo delle Esposizioni di Roma è quindi il punto di arrivo di un lungo percorso che ci ha portato ad essere fra i maggiori esponenti della videoarte immersiva a livello italiano e internazionale.
La videoarte immersiva è una forma d’arte che utilizza videoproiezioni multiple, luci, suoni, musiche e a volte anche essenze profumate, per avvolgere e coinvolgere lo spettatore in una esperienza d’arte totalizzante, stimolandone i sensi e attivandone le emozioni.
Per molti musei diventa un’opportunità di rinnovamento delle regole della fruizione. Un progetto innovativo che tende a scuotere l’osservatore sia sul piano sensoriale che su quello intellettuale, suggerendo e stimolando nuove letture visive, narrative, critiche e pedagogiche sull’Arte.
Il tuo rapporto con Caravaggio: sicuramente, avrai lavorato a stretto contatto con storici dell’arte ed esperti; cosa ti ha ispirato, maggiormente, nella costruzione di un racconto per immagini?
La sua pittura è così dirompente che il primo approccio è stato il più possibile spontaneo,senza mediazioni culturali o critiche.
Ho selezionato le sue opere maggiori e le ho proiettate per settimane sui maxi-schermi che ho in casa e nella FAKE FACTORY, il mio laboratorio creativo. Ho diversi maxischermi distribuiti dappertutto, visto il lavoro che faccio. Mi sono letteralmente immerso nella sua pittura per un mese. Giorno e notte. Mentre lavoravo, mangiavo, leggevo e spesso anche mentre dormivo, per assorbirne la luce quasi fisicamente.
Quando ho pienamente interiorizzato le immagini create dal Caravaggio ho iniziato a studiarlo con metodo e attenzione scientifica. Ho letto libri e biografie, ho visto i film a lui ispirati, ho studiato le lezioni universitarie e le trasmissioni televise di Claudio Strinati, gli appunti dell’amico Carlo Francini, ho incontrato Mina Gregori della Fondazione Longhi di Firenze, ho visto in video gli spettacoli di Dario Fo e Vittorio Sgarbi, ho approfondito gli studi scientifici di alcuni dottorati di ricerca sulla tecnica e i trucchi ottici che probabilmente utilizzava, ho parlato con molti restauratori per capire il metodo che utilizzava per ottenere quella profondità e quei contrasti luce-ombra che ne hanno fatto il tratto distintivo. Sono andato a osservare quanto più possibile le sue opere dal vero: Roma, Firenze, Napoli, Siracusa, Malta, Parigi, Berlino e Vienna. Ho passeggiato nella spiaggia di Porto Ercole dove probabilmente è stato abbandonato morente.
Poi mi sono preso un mese chiuso nel mio studio a fare una sintesi per trovare una narrazione visiva ed emozionale che potesse racchiudere quanto più possibile tutto quello che di Caravaggio si conosce, si scrive, si dice e si immagina. L’introduzione alla videoinstallazione, quella con le lettere che volano e formano la parola Caravaggio Experience è il simbolo visivo di questo processo.
Ho preso quel flusso libero di pensieri e immagini e l’ho inquadrato dentro una cornice, che rappresenta simbolicamente la videoinstallazione-spettacolo finalmente compiuta.
Quell’animazione, che anticipa tutti i capitoli e da il titolo all’intera opera, è l’ultimo video che abbiamo realizzato. L’ho pensato e realizzato solo quando avevo finalmente capito che il lavoro era compiuto e l’opera completa.
Ci parli della narrazione della videoinstallazione? come si svolge?
E’ un flusso continuo di immagini e musiche di 50 minuti circa, che visualizziamo contemporaneamente in tutte le sale attraverso 33 videoproiettori e quindi 33 differenti punti di vista. Per fare un esempio, di una stessa opera in ogni stanza vediamo un quadro del Caravaggio totale e almeno 6 differenti dettagli dello stesso quadro proiettati sulle altre pareti e persino sul pavimento. Quindi diventa interessante anche scoprire che, muovendoti nello spazio, i punti di vista e le composizioni cambiano.
E’ una destrutturazione delle opere su piani differenti che si ricompongono di fronte allo spettatore in base al punto di vista.
Io ad esempio amo moltissimo mettermi nella sala centrale per osservare contemporaneamente almeno 12 proiezioni diverse, divise su 3 sale che comunicano attraverso portali volutamente asimmetrici. E’ un labirinto apparentemente caotico ma incredibilmente equilibrato e armonico.
Dal punto di vista dello sviluppo delle sequenze, ho cercato di essere il più chiaro possibile. D’altronde, se la mia intenzione è far perdere lo spettatore nel labirinto, gli devo pur dare un filo di Arianna che lo aiuti a trovare un percorso di uscita. Perciò ho individuato alcune tematiche utili a realizzare una narrazione fluida e coinvolgente. Ho pensato a 8 capitoli, che si svolgono contemporaneamente in tutto lo spazio: Luce, Naturalismo, Enigma del Narciso, Teatralità, Medusa, Violenza, luoghi di vita vissuta e infine la consacrazione della sua Arte nelle pinacoteche di tutto il mondo.
Quindi ho radunato il mio team di grafici, animatori, disegnatori e nel mio laboratorio di Firenze, The Fake Factory, e abbiamo realizzato una prima bozza dell’opera. Con l’aggiunta delle meravigliose musiche di Stefano Saletti e una serie di revisioni con Strinati abbiamo affinato tutti gli aspetti della videoinstallazione per arrivare ad un risultato finale che corrispondesse ai miei desideri e, naturalmente, anche a quelli di Medialart, società produttrice dell’evento.
L’obiettivo ultimo di questo lavoro era chiaro a tutti: regalare un’esperienza immersiva originale e unica nell’arte del Caravaggio, equilibrando gli elementi spettacolari con quelli didattici.
Perché Caravaggio?
A posteriori sembra una scelta facile, ma il rischio di non riuscire a domare tutta quella materia era molto alto.
Non è stato per niente facile dire “ok, facciamo Caravaggio!”. Ma la mia indole ad accettare le sfide e a cercare di alzare l’asticella del limite ha prevalso sulle paure.
Con i produttori Luca Parenti e Valentina Sicca di Medialart, abbiamo discusso molto su questa scelta. Forse un episodio è stato decisivo : una sera a cena in centro a Firenze raccontavo loro di una visita al Museo degli Uffizi con mio nipote Alessandro, che ha sei anni. Dell’intera visita agli Uffizi si ricordava con entusiasmo di uno “scudo da guerra con sopra una faccia coi serpenti in testa”.
Ci siamo tolti ogni dubbio e la mattina dopo ero a lavorare su Caravaggio.
A quando risale il tuo primo ‘’incontro’’ con l’artista?
Da quando sono bambino mi nutro ossessivamente di immagini.
Mi sembra che i quadri di Carvaggio siano sempre stati stampati nella mia mente.
Quali intenzioni hanno governato la costruzione del progetto?
Il fine ultimo è donare al pubblico un’esperienza immersiva nell’arte del Caravaggio. Diciamo che ho messo l’arte, la competenza e le tecnica di The Fake Factory a disposizione di un progetto che vuole soprattutto rinnovare la conoscenza e la passione per l’Arte di Michelangelo Merisi.
Dopo mesi di duro lavoro e di incontri e collaborazioni nel dar vita a questa ‘’esperienza’’ cosa pensi rimanga al fruitore?
Spero rimanga un ricordo indelebile delle sensazioni che produciamo attraverso immagini, musica, suoni e profumi.
Spero e credo rimanga la voglia di approfondire la conoscenza del Caravaggio e di andare a vedere, come ho fatto io, le pitture dal vero.
Credo fortemente che questa installazione rafforzi la voglia di bellezza, arte e cultura che sono la caratteristica del nostro Paese.
Credo anche che si metta un punto a vantaggio della nostra iconofilia, contro la barbarie iconoclasta che da più parti potrebbe sopraggiungere.
Come reagisce il pubblico all’immersione nell’opera di Caravaggio?
I feedback sono generalmente molto positivi, anche da parte del pubblico più maturo. La consulenza scientifica di Claudio Strinati ci ha permesso di essere creativi ma rispettosi dell’opera del Maestro. E’ un bene che anche la critica d’arte abbia accolto con favore un’installazione spettacolo che non ha , di fatto, alcuna opera pittorica reale presente.
I visitatori hanno recepito appieno gli stimoli sensoriali che la videoarte immersiva offre.
Per mio conto, mi piace osservare il pubblico che partecipa si immerge in maniera differente nell’installazione. C’è chi si muove per 3 ore nello spazio cercando punti di vista differenti, chi trova subito uno spazio proprio e si siede per molto tempo, chi assiste concentrato senza parlare, chi parla e commenta, chi fa foto per sè e chi fa foto dicendo che vorrebbe mostrarle a figli o amici.
Chi apprezza soprattuto la musica (io sono fra quelli!). Chi conosce, riconosce o cerca di indovinare i quadri che scorrono sulle pareti. Chi dice (per fortuna sono pochi!) “non mi piace” o “non mi convince” e chi escalma, letteralmente “che figata!”.
Anche i commenti sui social media sono un metodo interessante per recepire i feedback del pubblico. Proprio ieri leggevo commenti del tipo : Andate a godere di questa esperienza meravigliosa; Una esperienza bellissima ed emozionante!; Meraviglia!; Incredibile e totale immersione nei quadri di Caravaggio…. stupendo. Ci tornerò!; Un trip; La potremmo definire un caraviaggio! …dopo un anno di studio, lavoro e fatica fisica ci sentiamo finalmente sollevati dalle pressioni che questo tipo di lavori comporta.
C’è anche chi critica l’aspetto immateriale dell’approccio della videoarte e continua a considerare imprescindibile che le mostre di pittori del passato debbano essere realizzate con i quadri originali. Ma nessuno intende sostituirsi a Caravaggio, è ovvio!
Noi facciamo una messa in scena digitale della sua iconografia e suggeriamo percorsi estetici e critici complementari alla visione delle opere reali. Ma come potrai immaginare, vedere dal vero 57 capolavori di Caravaggio comporta girare il mondo, spendere parecchie migliaia di euro e spesso ritrovarsi in sale poco illuminate dove non si possono cogliere tutti i dettagli che il Maestro inseriva nella sua pittura. Vogliamo solo rendere più fruibile e comprensibile, attraverso una mediazione estetica e critica, la sua opera. E invitiamo tutti ad andare a vederli dal vivo, iniziando magari dalla Galleria Borghese o da Palazzo Doria Pamphilj, che sono a due passi dal Palazzo delle Esposizioni.
Come avete progettato lo spazio e gli ambienti in cui mettete in scena l’installazione?
Abbiamo pensato a questa mostra come a una sorta di labirinto, con una divisione degli spazi e delle proiezioni asimmetrica ma equilibrata allo stesso tempo.
Vorrei che il pubblico entrando possa perdere subito tutte le certezze, i pregiudizi e i metodi tradizionali di fruizione di uno spazio museale. Come a teatro o al cinema quando sospendi l’incredulità, ma con in più il fatto di essere letteralmente dentro l’opera d’arte. Invito il pubblico a entrare nel labirinto non per cercare il Minotauro, ma per provare l’esperienza di perdersi.
Parlaci delle emozioni nate in seguito a questo ‘’confronto’’ così speciale. Ti sei misurato con un Maestro del passato, il più celebrato tra i dipintori dell’arte italiana, cosa si prova?
Vuoi la verità? sono esausto. Mi potreste abbandonare come un derelitto su una spiaggia e non ne uscirei vivo…
Cosa vorresti condividere di questa esperienza; se potessi raccontarti al pubblico cosa vorresti che emergesse?
La mia passione-ossessione per l’arte, le immagini, i racconti e le illusioni. E anche la nostra buona fede nel cercare di rendere compatibili gli aspetti spettacolari e quelli scientifici.
Giro il modo da anni per vedere i miei colleghi che realizzano lavori di questo tipo e non nascondo che mi sono ritrovato spesso deluso dal fatto di vedere a volte solo spettacoli che trattano con poco garbo le opere dei grandi maestri della pittura e a volte solo perfette riproduzioni digitali senza narrazione o evoluzione emozionale nel percorso.
Spesso ho visto solo operazioni di comunicazione. Sono molto consapevole di questo aspetto, il saggio di Mario Perniola “Contro la comunicazione”, che vi invito a leggere, è una Bibbia sul mio comodino da sempre. Caravaggio Experience non è una vuota operazione commerciale o di branding sfruttando Caravaggio: è un onesto tentativo, spero riuscito, di avvicinare il pubblico all’arte attraverso tecnologie innovative e linguaggi ed estetiche contemporanee.
Quale potrebbe essere un feedback positivo rispetto all’obiettivo che ti sei posto realizzando questo progetto?
Vorremmo continure a portare l’Arte e la bellezza italiana nel mondo attraverso installazioni immersive.
Io viaggio molto per lavoro in molte capitali mondiali e sono convinto che questa forma d’arte possa essere un successo di critica e pubblico oltre che un modo innovativo di portare la grande arte italiana nel mondo. Il nostro fantastico team di Roma&Roma, che si occupa con successo della promozione e della comunicazione dell’opera, è già al lavoro su diversi fronti. Possiamo solo augurarci progetti interessanti e riusciti con sembra essere questa mostra immersiva nell’arte di Caravaggio.
Ultima curiosità, ma perchè vi chiamate FAKE FACTORY?
Cercavo un nome che fosse la sintesi del contemporaneo. E nel 2001, quando ho aperto il mio studio a Firenze, eravamo in piena esplosione di Internet e delle tecnologie di riproduzione digitale dell’arte e della vita stessa. Il fake è anche questo: il virtuale che si sovrappone al reale, le identità immateriali, gli avatar e gli alter ego digitali, le illusioni ottiche. E’ un nome molto ironico, ma nasconde una filosofia molto seria. E poi dentro c’è il mio amore viscerale per Orson Welles (F for Fake, il suo film testamento), Fellini e le sue riscostruzioni oniriche al Teatro 5 di Cinecittà, il baffo di Duchamp sulla Gioconda, i film di fantascienza com Blade Runner e Strange Days. E comunque la frase che più mi piace citare è attribuita a Gian Lorenzo Bernini “L’arte sta in fare che il tutto sia finto, e paia vero”.
Fake, appunto.