THE FAKE FACTORY : ESPERIENZE IMMERSIVE NELL’ARTE

THE FAKE FACTORY : ESPERIENZE IMMERSIVE NELL’ARTE.
Stefano Fake è un artista che esplora fino in fondo il potenziale dell’elaborazione digitale dell’immagine per creare forme d’arte virtuali che abbracciano il concetto di spazio. Attraverso l’uso dell’immersione, dell’interazione e della manipolazione digitale dello spazio fisico e virtuale, THE FAKE FACTORY crea potenti ambienti estetici che permettono al pubblico di vivere realtà emozionali alternative. Le installazioni immersive soddisfano il desiderio intrinseco dello spettatore di sfuggire alla realtà fisica e diventare parte essi stessi dell’esperienza d’arte.
“Tutto il mio lavoro si potrebbe concentrare in questo concetto: THE FAKE FACTORY manipola e ridefinisce lo spazio per creare esperienze immersive, estetiche ed emozionali. Invita il pubblico ad immergersi nell’arte con tutti i sensi.“(Stefano Fake)
Per immergere lo spettatore in una esperienza estatica ed emotiva, Fake utilizza tutti gli strumenti che l’arte digitale concede nel terzo millennio: forme, luci, colori, suoni, narrazione, astrazioni concettuali ed elementi simbolici, ologrammi, citazioni colte dalla storia dell’arte, specchi, trucchi prospettici e inganni visivi, in una sorta di flusso visivo senza soluzione di continuità.
“Non sono altro che paesaggi visivi, esteriori ed interiori. Qualcosa a metà fra la realtà e il sogno. Tutti i mondi sono simbolici: sia quello virtuale che quello che percepiamo come reale. L’arte digitale è evanescente e concreta allo stesso tempo: l’esperienza immersiva si consuma in pochi minuti ma lascia segni indelebili nello spettatore.” (Stefano Fake)

La sensazione di essere lì in quel momento a vivere l’esperienza, dipende in larga misura dall’assorbimento sensoriale all’interno dell’ambiente. Bisogna sentirsi immersi nello spazio e percepire fisicamente di essere una parte di esso. L’immersione sensoriale è fondamentale per il nostro rapporto con l’ambiente naturale.

Sfruttando il potere psicologico dell’immersione, Fake crea spazi visivi che consentono al pubblico di sfuggire verso altri mondi e sperimentare risposte emotive reali. E’, in definitiva, il potere dell’illusione artistica che trova un punto di incontro con il desiderio umano di creare realtà parallele all’interno della realtà in cui vive. Nella metafisica della realtà virtuale (The metaphysics of virtual reality), Michael Heim chiede: “Non sono tutti i mondi simbolici? Compreso quello che ingenuamente chiamiamo il mondo reale, che vediamo, sentiamo, tocchiamo e annusiamo con i nostri sensi fisici? “.
Le opere di videoarte immersiva di The Fake Factory sfruttano, in definitiva, il potere dell’illusione artistica che trova un punto di incontro con il desiderio umano di creare realtà simboliche parallele all’interno della realtà in cui vive, creando una fusione fra arte e vita.

INIZIAMO PARLANO DALL’ESPERIENZA DIGITALE VERSUS LA TRADIZIONALE VISIONE DI OPERE ORIGINALI.
LE CRITICHE SULLA FORMA DI FRUIZIONE RIMANGONO?
Molto meno rispetto al 2015. E’ questo è già un passo avanti. Chi contesta alle mostre immersive di non esporre quadri originali è come chi nel 1910 andava al cinema e si poteva lamentare di non avere davanti un palco con attori reali. Il cinematografo sta al teatro come le esperienze immersive stanno alle opere pittoriche o scultoree. E’ una riproduzione della realtà. Videoproiettata. Che sfrutta un proprio linguaggio fatto da un’alchimia di immagini, musiche, suoni ed effetti speciali che servono a raccontare qualcosa attraverso uno storytelling audiovisivo. Nel nostro caso la narrazione immersiva serve a raccontare l’arte, la creatività umana. E lo fa con un proprio linguaggio, con una propria tecnica compositiva che tiene conto dello spazio abitato dal pubblico e con un uso innovativo delle tecnologie.
Piano piano stiamo creando un pubblico consapevole. I social media aiutano a mostrare che tipo di esperienza andranno a vivere. Mi sembra fisiologico che ci siano comunque dei detrattori. I commenti sui social sono un’esemplare varietà di gusti e pregiudizi. Chi aprioristicamente aborre la riproduzione digitale, non potrà mai amare le nostre esperienze immersive. Con ogni probabilità non amano nemmeno il cinema e le serie televisive, per lo stesso motivo. Mi sembra normale e tutto sommato auspicabile che esistano diverse opinioni.

LE MOSTRE IMMERSIVE SONO PROPEDEUTICHE ALLA CONOSCENZA DELLE OPERE ORIGINALI DI UN ARTISTA?
Non necessariamente. Sicuramente sono un’esaltazione dell’artista e della sua arte. Un omaggio. Un atto d’amore. Siamo una società iconofila, amiamo essere a contatto con le espressioni artistiche. Noi costruiamo delle cattedrali in cui si celebra l’arte. A modo nostro, ma pur sempre una celebrazione. Senza troppi Filtri.
E lo facciamo con un’opera d’arte totale, che unisce architettura, pittura, disegno, musica, cinema, fotografia, danza. Un’esperienza totalizzante che mette lo spettatore al centro della scena, e lo lasciamo libero di muoversi e di interpretare le composizioni audiovisive che noi mettiamo in scena. Mostriamo, non spieghiamo. Anche se poi quando facciamo incontri pubblici, parlando della narrazione e delle associazioni visive e simboliche che abbiamo inserito nell’opera, il pubblico sembra molto interessato a questo aspetto. Ma per principio preferisco fellinianamente lasciare aperta ogni interpretazione dell’opera immersiva.

ALCUNI LA DEFINISCONO ANCHE UNA SPETTACOLARIZZAZIONE DELL’ARTE?
Sono d’accordo se lo intendiamo in questo modo: la danza è una spettacolarizzazione del movimento del corpo e della capacità di eseguire una coreografia; l’opera è una spettacolarizzazione del canto, della scenografia e della musica; Il cinema è una spettacolarizzazione della fotografia. Quindi con un’accezione positiva del termine, direi che noi realizziamo una spettacolarizzazione delle arti visive. Di certo l’esperienza è quella di entrare in uno spettacolo e ci si comporta di conseguenza. Secondo uno schema partecipativo che ricorda più Woodstock che il teatro d’opera. Una comunità di piccoli individui che si mettono a terra e sono sopraffatti dall’arte. La vivono emozionalmente. Come uno spettacolo, appunto.
PER ALTRI E’ COME IL SESSO VIRTUALE: SENZA IL MANUFATTO ORIGINALE NON PUO’ ESSERCI AMORE?
E’ esattamente il contrario. E chi viene alle nostre esperienze lo può verifcare con i suoi occhi. L’ambiente immersivo che creiamo è un contenitore di emozioni: gli amanti si baciano, i bambini giocano, le famiglie si abbracciano. Il loro approccio con l’esperienza estetica è molto libero, disinvolto. Non c’è il filtro del Museo e del tradizionale metodo di fruizione quasi sacrale dell’opera originale. Da noi il pubblico si lascia andare completamente alle emozioni. Forse non tutti, ma chi non ne approfitta dovrebbe cambiare atteggiamento: noi allestiamo un succulento banchetto di prelibatezze visive, variando dal gurmet al piatto tradizionale, chi entra ma vuole stare a dieta si perde l’esperienza. E vi assicuro che i nostri banchetti fanno venire l’acquolina in bocca alla gran parte dei visitatori.
LA MESSA IN SCENA E’ L’ASPETTO DETERMINANTE NELLA REALIZZAZIONE DI UN’ESPERIENZA IMMERSIVA?
Prima di tutto c’è sempre l’architettura che ci ospita. Ogni esperienza immersiva è sito-specifica. Il percorso è importante. Devi prendere il pubblico per mano e portarlo in un viaggio immersivo. Per questo metto sempre alcune stanze satellite accanto alla principale IMMERSIVE ROOM. Inserisco nel percorso espositivo la mia IMMERSIVE MIRROR ROOM, una sala con SCENOGRAFIE ricostruite, la sala MONITOR che è essa stessa una SCULTURA DI VIDEOARTE. Il pubblico assiste a diverse esperienze immersive, trovate sceniche e illusioni ottiche. Tutto l’ambiente dovrebbe essere pensato in funzione di un’idea autoriale omnicomprensiva, moto creativa e stimolante. Staccandoci definitivamente dalle informazioni storiografiche classiche, che diamo per scontate. Il pubblico dovrebbe venire già preparato, come quando si legge il libretto di un’opera prima di andare all’evento. La prima volta che ho visto il Sogno di Shakespeare, avevo 16 anni, non ci ho capito assolutamente niente. Non ero preparato. Ma comunque mi era piaciuto e l’ho rivisto diverse volte negli anni. Auspico un pubblico colto, che legga il sito internet per prepararsi. E’ un aspetto su cui migliorare. Per ora i siti sono solo vetrine, informano su orari e luoghi, e descrivono in modo abbastanza superficiale l’esperienza. In nessun modo sono propedeutici alla visione dell’esperienza immersiva. Ma è una cosa destinata a cambiare.

MOLTI CRITICI SI LAMENTANO SOPRATTUTTO DELLA TROPPA AUTORIALITA’ DELLE ESPERIENZE IMMERSIVE, COME SE SI DOVESSE CONTINUARE A PROGETTARE SOLAMENTE MOSTRE DIDATTICAMENTE PERFETTE. COSA NE PENSI?
E’ una strana utopia quella che vorrebbero alcune autorità del mondo della cultura. Si lamentano delle nostre messa in scena e si appellano ad un auspicabile miglioramento del format, promuovendo progetti scientificamente corretti, legati all’edutainment, alla capacità divulgativa. Come la tv degli anni ’50 che doveva alfabetizzare gli italiani. Mentre noi siamo più come un concerto dei Doors, degli U2 o dei Subsonica. Sparagliamo le carte. Diamo più domande che risposte. Vi mettiamo di fronte all’arte e vi diciamo “ecco qua, tutta vostra!”. Senza troppi filtri. Una cosa molto felliniana, come entrare in un sogno. E la visione degli autori è importante quanto l’iconografia che è messa in scena.
Il Casanova di Fellini è il suo, è il suo modo di vedere la storia e il personaggio. Io faccio lo stesso con Klimt, Modigliani, Caravaggio, Magritte. Andrete a vedere il Magritte di THE FAKE FACTORY, non una lezione universitaria su Magritte. Da poco ho iniziato a progettare esperienze immerisve anche sui compositori. Bach Experience, ad esempio, parte da una rilettura visiva della musica di Bach. Ascoltavo le musiche e le associavo a scene visivamente simboliche. Nel primo brano di organo faccio letteralmente suonare le pareti con degli effetti ottici.
E’ molto interessante pensare a quanta evoluzione ci sarà narrativamente. Ma se c’è un futuro lo sarà in direziona di una maggiore autorialità e capacità reinterpretativa dell’arte del passato. Lo aveva fatto in passato Greenaway. Lo fa bene il gruppo italiano di Ateliers des Lumiere con Iannuzzi, Gatto e Siccardi. Lo fanno bene i russi di ARTPLAY Media. E lo facciamo molto bene anche noi alla Fake Factory. I Numeri, con milioni di biglietti staccati negli ultimi 5 anni, ci stanno dando ragione in termini di pubblico. Aspettiamo di vedere se una generazione nuova di storici dell’arte capirà che cosa stiamo realmente facendo con le esperienze immersive.
IL FUTURO ?
Una internazionalizzazione del format e la nascita di centri culturali con sale già predisposte. Come quando nacque l’Opera e fiorirono le sale e i teatri, o il cinema stesso, anche se non sarà mai così popolare come l’esplosione del cinematografo. Un progressivo aumento di spazi immersivi predisposti, la creazione di un network internazionale e la possibilità di fare circuito. Questo permetterà un’economia di scala che migliorerà la qualità visiva. Sia in termini di produzione che in investimenti in tecnologie. Faremo molti più spettacoli e di migliore qualità, con più budget a disposizione. E il costo sarà distribuito su più sale, come il cinema. Così sarà data importanza alla qualità autoriale. Il lavoro su Hundertwasser di Iannuzzi alla KunstKraftWerk di Lipsia e il Bosch Visions Alive di ArtPlay a San Pietroburgo e ho goduto della loro libertà creativa nell’interpretare l’arte del passato. Auspico sempre più produzioni di questo tipo, come del resto lo sono stati i nostri Caravaggio, Klimt e Magritte. Pietre miliari delle Immersive Art Experiences. Bisogna partire da lì e speigare meglio al pubblico che tipo di esperienza vivranno. E aspettare una nuova generazione di autori che si metterà a lavorare e una crescente consapevolezza da parte di critica e pubblico.

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