FLORENCE OPERA HOUSE 2014 VIDEOMAPPING CREATED BY THE FAKE FACTORY- FLORENCE, ITALY

FLORENCE OPERA HOUSE 2014

VIDEOMAPPING CREATED BY THE FAKE FACTORY
design & direction: FAKE
Award winning contemporary artist Stefano Fake, covers a broad spectrum of the visual arts.
His multilayered art combines passionate explorations of colour and expressionism, which are both inspiring and frightening in their intensity.

________

Stefano Fake (born October 7, 1971- not dead yet).

Italian visual artist and film maker who works in video, photography, design, sculpture and environmental installations. In 2001 he created The Fake Factory, an award-winning video design and contemporary media art studio based in Florence, Italy.
The fake factory represent a benchmark for contemporary videodesign and new media art productions.

Artista e video designer italiano, realizza installazioni utilizzando video, film, fotografie, design, sculture e tecnologie interattive. Nel 2001 fonda The Fake Factory, che in pochi anni diventa un punto di riferimento nel panorama del video design internazionale.

thefakefactory.com

OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_36438 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_37527 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_37362 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_37266 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_37186 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_37081 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_36986 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_36854 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_36777 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_36710 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_36652 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_36578 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_36438 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_36387 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_36322 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_36250 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_36177 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_36111 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_36029 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_35823 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_35608 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_35112 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_34993 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_34926 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_34773 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_34689 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_34627 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_34554 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_34309 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_34200 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_34060 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_33920 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_33743 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_33615 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_33500 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_33404 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_33229 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_33155 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_33019 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_32913 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_32750 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_32654 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_32557 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_32557 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_32654 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_32750 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_32913 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_33019 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_33155 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_33229 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_33404 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_33500 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_33615 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_33743 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_33920 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_34060 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_34200 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_34309 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_34554 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_34627 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_34689 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_34773 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_34926 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_34993 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_35112 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_35608 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_35823 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_36029 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_36111 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_36177 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_36250 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_36322 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_36387 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_36578 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_36652 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_36710 OPERA VIDEOMAPPING BACKSTAGE_37362 SGARBI + FAKE 01 OF SGARBI + FAKE 02 OF
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STEFANO FAKE : NEW MEDIA ART

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ACHILLE BONITO OLIVA : ARTE DIGITALE

Parlando di arte multimediale, si può parlare di continuità con il passato, con la tradizione, o piuttosto di rottura?

L’atteggiamento di destrutturalizzazione è sempre quello, cambia solo la tecnica, che oggi è rappresentata dal mezzo telematico. Esiste una forte continuità con tutto il filone dell’avanguardia, dal futurismo al dadaismo, al collage, al costruttivismo, al Bauhaus fino all’arte programmata e cinetica degli anni ’60, e penso ai suoi casi migliori, come l’artista olandese László Moholy-Nagy. Continuità anche con il gruppo Fluxus (il movimento artistico degli anni ’60 composto da Maciunas, Yoko Ono, Ben Vautier, Ken Friedman, Cage).Già allora si lavorava sulla possibilità di interazione con il mezzo e la Web art fa in fondo la stessa cosa.
Ormai da parecchi anni le biennali d’arte (ma anche di architettura) mostrano un gran numero di opere di video artisti. All’inizio quest’invasione aveva, o almeno così veniva percepita, un carattere di novità e di forza dirompente rispetto alle altre forme artistiche (pittura, scultura, soprattutto). Sebbene la video arte abbia origini ben più lontane (si pensi a agli anni ’60 di Nam June Paik, Bruce Nauman, Bill Viola), è con la “maturazione” della TV e delle tecniche video che essa acquisisce maggior consapevolezza, grazie anche alle sperimentazioni dei videoclip e della pubblicità che esasperano il montaggio delle immagini, il ritmo sincopato e veloce, il rapporto con la musica e con altre forme espressive, prime fra tutte la fotografia e la musica.

Gli artisti digitali hanno solo sostituito il mouse con il pennello, oppure il nuovo mezzo tecnologico, il computer, costringe anche a ripensare il ruolo stesso dell’artista?

L’arte multimediale gode di una euforia per la scoperta del mezzo, il computer.
L’atteggiamento degli artisti multimediali, talvolta a livello inconscio, è da vecchi umanisti.
Il tentativo è quello di dimostrare che la scienza telematica è buona, che fa del bene all’uomo. Di umanizzare la tecnica. L’immagine assume le stimmate del mezzo che usa, sviluppa una relazione con il pubblico, che riconosce che il computer che è oramai diventato un oggetto comune. Credo che vi sia un tentativo di sviluppare una comunicazione allargata, frutto di un desiderio di apertura sociale, anche se con risultati molto estetizzanti.
Se esite una differenza va ritovata nel fatto che oggi l’avanguardia non è più autoesclusione, isolamento, produzione di un linguaggio esclusivo. L’arte telematica è comunicazione. L’arte digitale pone il problema di una vera interazione degli utenti col mezzo, che diviene parte dell’opera d’arte.

In che senso questa comunicazione ottiene risultati estetizzanti?

In generale, prevale l’euforia per la sperimentazione tecnica, soprattutto fra gli artisti italiani, e allo stesso tempo resiste ancora un gusto per la forma, per il bello, un retrogusto estetico che spesso comporta quello che io chiamo “anoressia dell’immagine”: in un mondo smaterializzato e smaterializzante, in cui la telematica produce ogni tipo di servizio a domicilio, l’uomo è immobilizzato, paralizzato, signore e schiavo del mezzo. Allora anche l’immagine che gli giunge è smaterializzata, appiattita, anoressica. In Italia soprattutto Edipo è molto forte e si impone.

Un passato ingombrante?

No, importante. Tutti in Italia in fondo fanno i conti con un proprio Edipo: chi con Benedetto Croce o Carlo Marx, io, ad esempio, faccio i conti con un napoletano, Totò. Edipo può essere un punto di forza o una debolezza. Può valere come stimolo. Il Italia si deve fare i conti con la tradizione, non si può prescindere dalla storia dell’arte. Gli americani hanno uno sguardo più libero. Guarda caso nella transavanguardia calda, rappresentata dagli europei e dagli italiani, esiste un atteggiamento culturale importante, noi lavoriamo nella citazione continua del passato, della storia dell’arte. Loro, gli americani, lavorano sulla citazione della cronaca.

Lei crede che abbia un senso esporre delle opere digitali, presenti anche su Internet, nei musei?
Perchè no. In fondo entrare nei musei è come sfogliare un catalogo.
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stefano fake : digital art

THE FAKE FACTORY MUTANT ARCHITECTURE digital print_61128

 

ACHILLE BONITO OLIVA : ARTE DIGITALE

Parlando di arte multimediale, si può parlare di continuità con il passato, con la tradizione, o piuttosto di rottura?

L’atteggiamento di destrutturalizzazione è sempre quello, cambia solo la tecnica, che oggi è rappresentata dal mezzo telematico. Esiste una forte continuità con tutto il filone dell’avanguardia, dal futurismo al dadaismo, al collage, al costruttivismo, al Bauhaus fino all’arte programmata e cinetica degli anni ’60, e penso ai suoi casi migliori, come l’artista olandese László Moholy-Nagy. Continuità anche con il gruppo Fluxus (il movimento artistico degli anni ’60 composto da George Maciunas, Yoko Ono, Ben Vautier, Ken Friedman, John Cage).Già allora si lavorava sulla possibilità di interazione con il mezzo e la Web art fa in fondo la stessa cosa.
Ormai da parecchi anni le biennali d’arte (ma anche di architettura) mostrano un gran numero di opere di video artisti. All’inizio quest’invasione aveva, o almeno così veniva percepita, un carattere di novità e di forza dirompente rispetto alle altre forme artistiche (pittura, scultura, soprattutto). Sebbene la video arte abbia origini ben più lontane (si pensi a agli anni ’60 di Nam June Paik, Bruce Nauman, John Baldessari, Bill Viola), è con la “maturazione” della TV e delle tecniche video che essa acquisisce maggior consapevolezza, grazie anche alle sperimentazioni dei videoclip e della pubblicità che esasperano il montaggio delle immagini, il ritmo sincopato e veloce, il rapporto con la musica e con altre forme espressive, prime fra tutte la fotografia e la musica.

Gli artisti digitali hanno solo sostituito il mouse con il pennello, oppure il nuovo mezzo tecnologico, il computer, costringe anche a ripensare il ruolo stesso dell’artista?

L’arte multimediale gode di una euforia per la scoperta del mezzo, il computer.
L’atteggiamento degli artisti multimediali, talvolta a livello inconscio, è da vecchi umanisti.
Il tentativo è quello di dimostrare che la scienza telematica è buona, che fa del bene all’uomo. Di umanizzare la tecnica. L’immagine assume le stimmate del mezzo che usa, sviluppa una relazione con il pubblico, che riconosce che il computer che è oramai diventato un oggetto comune. Credo che vi sia un tentativo di sviluppare una comunicazione allargata, frutto di un desiderio di apertura sociale, anche se con risultati molto estetizzanti.
Se esite una differenza va ritovata nel fatto che oggi l’avanguardia non è più autoesclusione, isolamento, produzione di un linguaggio esclusivo. L’arte telematica è comunicazione. L’arte digitale pone il problema di una vera interazione degli utenti col mezzo, che diviene parte dell’opera d’arte.

In che senso questa comunicazione ottiene risultati estetizzanti?

In generale, prevale l’euforia per la sperimentazione tecnica, soprattutto fra gli artisti italiani, e allo stesso tempo resiste ancora un gusto per la forma, per il bello, un retrogusto estetico che spesso comporta quello che io chiamo “anoressia dell’immagine”: in un mondo smaterializzato e smaterializzante, in cui la telematica produce ogni tipo di servizio a domicilio, l’uomo è immobilizzato, paralizzato, signore e schiavo del mezzo. Allora anche l’immagine che gli giunge è smaterializzata, appiattita, anoressica. In Italia soprattutto Edipo è molto forte e si impone.

Un passato ingombrante?

No, importante. Tutti in Italia in fondo fanno i conti con un proprio Edipo: chi con Benedetto Croce o Carlo Marx, io, ad esempio, faccio i conti con un napoletano, Totò. Edipo può essere un punto di forza o una debolezza. Può valere come stimolo. Il Italia si deve fare i conti con la tradizione, non si può prescindere dalla storia dell’arte. Gli americani hanno uno sguardo più libero. Guarda caso nella transavanguardia calda, rappresentata dagli europei e dagli italiani, esiste un atteggiamento culturale importante, noi lavoriamo nella citazione continua del passato, della storia dell’arte. Loro, gli americani, lavorano sulla citazione della cronaca.

Lei crede che abbia un senso esporre delle opere digitali, presenti anche su Internet, nei musei?
Perchè no. In fondo entrare nei musei è come sfogliare un catalogo.
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stefano fake : digital art

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ACHILLE BONITO OLIVA : ARTE DIGITALE

Parlando di arte multimediale, si può parlare di continuità con il passato, con la tradizione, o piuttosto di rottura?

L’atteggiamento di destrutturalizzazione è sempre quello, cambia solo la tecnica, che oggi è rappresentata dal mezzo telematico. Esiste una forte continuità con tutto il filone dell’avanguardia, dal futurismo al dadaismo, al collage, al costruttivismo, al Bauhaus fino all’arte programmata e cinetica degli anni ’60, e penso ai suoi casi migliori, come l’artista olandese László Moholy-Nagy. Continuità anche con il gruppo Fluxus (il movimento artistico degli anni ’60 composto da George Maciunas, Yoko Ono, Ben Vautier, Ken Friedman, John Cage).Già allora si lavorava sulla possibilità di interazione con il mezzo e la Web art fa in fondo la stessa cosa.
Ormai da parecchi anni le biennali d’arte (ma anche di architettura) mostrano un gran numero di opere di video artisti. All’inizio quest’invasione aveva, o almeno così veniva percepita, un carattere di novità e di forza dirompente rispetto alle altre forme artistiche (pittura, scultura, soprattutto). Sebbene la video arte abbia origini ben più lontane (si pensi a agli anni ’60 di Nam June Paik, Bruce Nauman, John Baldessari, Bill Viola), è con la “maturazione” della TV e delle tecniche video che essa acquisisce maggior consapevolezza, grazie anche alle sperimentazioni dei videoclip e della pubblicità che esasperano il montaggio delle immagini, il ritmo sincopato e veloce, il rapporto con la musica e con altre forme espressive, prime fra tutte la fotografia e la musica.

Gli artisti digitali hanno solo sostituito il mouse con il pennello, oppure il nuovo mezzo tecnologico, il computer, costringe anche a ripensare il ruolo stesso dell’artista?

L’arte multimediale gode di una euforia per la scoperta del mezzo, il computer.
L’atteggiamento degli artisti multimediali, talvolta a livello inconscio, è da vecchi umanisti.
Il tentativo è quello di dimostrare che la scienza telematica è buona, che fa del bene all’uomo. Di umanizzare la tecnica. L’immagine assume le stimmate del mezzo che usa, sviluppa una relazione con il pubblico, che riconosce che il computer che è oramai diventato un oggetto comune. Credo che vi sia un tentativo di sviluppare una comunicazione allargata, frutto di un desiderio di apertura sociale, anche se con risultati molto estetizzanti.
Se esite una differenza va ritovata nel fatto che oggi l’avanguardia non è più autoesclusione, isolamento, produzione di un linguaggio esclusivo. L’arte telematica è comunicazione. L’arte digitale pone il problema di una vera interazione degli utenti col mezzo, che diviene parte dell’opera d’arte.

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In generale, prevale l’euforia per la sperimentazione tecnica, soprattutto fra gli artisti italiani, e allo stesso tempo resiste ancora un gusto per la forma, per il bello, un retrogusto estetico che spesso comporta quello che io chiamo “anoressia dell’immagine”: in un mondo smaterializzato e smaterializzante, in cui la telematica produce ogni tipo di servizio a domicilio, l’uomo è immobilizzato, paralizzato, signore e schiavo del mezzo. Allora anche l’immagine che gli giunge è smaterializzata, appiattita, anoressica. In Italia soprattutto Edipo è molto forte e si impone.

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No, importante. Tutti in Italia in fondo fanno i conti con un proprio Edipo: chi con Benedetto Croce o Carlo Marx, io, ad esempio, faccio i conti con un napoletano, Totò. Edipo può essere un punto di forza o una debolezza. Può valere come stimolo. Il Italia si deve fare i conti con la tradizione, non si può prescindere dalla storia dell’arte. Gli americani hanno uno sguardo più libero. Guarda caso nella transavanguardia calda, rappresentata dagli europei e dagli italiani, esiste un atteggiamento culturale importante, noi lavoriamo nella citazione continua del passato, della storia dell’arte. Loro, gli americani, lavorano sulla citazione della cronaca.

Lei crede che abbia un senso esporre delle opere digitali, presenti anche su Internet, nei musei?
Perchè no. In fondo entrare nei musei è come sfogliare un catalogo.

 

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